domenica 19 aprile 2020

coronavirus come monito per ridefinire il progresso

C'è un legame profondo tra inquinamento dell'aria e la pandemia da coronavirus, conseguenza di un distorto e folle rapporto uomo-terra.
E’ brutto dire “noi lo avevamo detto”, eppure è così. Noi cassandre ambientaliste da tempo dicevamo di fermarci, rallentare, frenare questa corsa al collasso ambientale. Ma ci deridevano: “Non possiamo fermarci, Vuoi che l’economia si fermi? Vuoi la recessione?”.

Eccola ora, la recessione. La natura ci ha sferzato il suo primo colpo mortale. Buttandoci a terra, rovinosamente. Ci rialzeremo, ma non sarà l’ultimo colpo. È solo l’inizio. Virus, catastrofi climatiche, inondazioni, desertificazioni, perdita di terre fertili e di acqua potabile, malattie e ondate di rifugiati disperati… La natura si difenderà da noi, finché noi non smetteremo di torturarla.

Non potremo trincerarci a lungo nelle nostre case, prima o poi dovremo uscire ed affrontarla. Non ci siamo fermati quando potevamo. E’ arrivato un minuscolo flagello a fermarci. Come altre epidemie causate da virus passati dagli animali all’uomo (Hiv, Ebola, H5N1, H1N1, Sars, Mers), anche il Coronavirus, secondo i ricercatori, è associato ai livelli insostenibili di caccia e di traffico di animali selvatici, alla perdita di habitat naturali (soprattutto foreste), agli allevamenti intensivi.

Quello che fa così paura del Coronavirus è la simultaneità e la velocissima propagazione, una situazione che il sistema sanitario non regge, anche perché in tutti questi anni è stato sempre più privatizzato e ridotto (non solo in Italia). Si è pensato a far crescere il Pil, a buttar soldi in armi, nuovi aeroporti, nuove autostrade, ad incentivare il fossile, gli allevamenti intensivi.

I pazienti con coronavirus in aree con livelli elevati di inquinamento atmosferico prima della pandemia hanno maggiori probabilità di morire per infezione rispetto ai pazienti in parti più pulite del paese. Lo stabilsce un nuovo studio nazionale che traccia il primo chiaro legame tra esposizione a lungo termine all'inquinamento e tassi di mortalità per il Covid-19. In un'analisi di 3.080 contee negli Stati Uniti, i ricercatori della TH Chan School of Public Health dell'Università di Harvard hanno scoperto che livelli più elevati di particelle minuscole e pericolose nell'aria conosciute come pm 2.5 erano associati a tassi di mortalità più elevati causati dalla malattia.


In particolare i ricercatori hanno raccolto dati sulla concentrazione dei particolati fini negli ultimi 17 anni su oltre 3.000 contee, incrociandoli con i conteggi dei decessi Covid-19 per ciascuna contea fino al 4 aprile ufficializzati dal Center for Systems Science and Engineering Coronavirus Resource Center. A seguito di complesse analisi statistiche si è giunto ad un risultato piuttosto eclatante: ad un aumento di solo 1 μg/m3 di PM2.5 sarebbe associato un incremento di circa il 15% nel tasso di mortalità da Covid-19. Questo fatto risulta ancor più grave considerando che si tratterebbe di un incremento 20 volte più significativo rispetto a quello riscontrato in un precedente studio dagli stessi ricercatori, relativo all'aumento di mortalità per tutte le altre cause a seguito dell'esposizione a lungo termine di inquinamento da PM2,5. Vale la pena notare come uno studio analogo condotto nel 2003 dal Dr. Zuo-Feng Zhang, preside associato per la ricerca presso la University of California, Los Angeles, Fielding School of Public Health, ha evidenziato un maggior numero di morti nelle aree inquinate della Cina durante l'epidemia di Sars.

D'altra parte, a prescindere dal Coronavirus, le PM2.5 insieme alle PM10 sono tra i maggiori fattori di inquinamento anche in Europa e in Italia, che contano un elevato numero di morti premature (nel nostro Paese ben 45.600 nel 2016, qui la ricerca). Il particolato fine si introduce nelle nostre vie respiratorie e si deposita nei polmoni senza essere filtrato, causando un indebolimento e una maggiore vulnerabilità di quegli organi che sono proprio uno dei target primari del nuovo Coronavirus. Vi sono numerose ricerche provanti il fatto che l'esposizione al particolato fine mette le persone ad alto rischio di cancro ai polmoni, ictus e purtroppo anche morte prematura.

Secondo i ricercatori - "sebbene l'epidemiologia di Covid-19 sia in evoluzione, abbiamo osservato che esiste una grande sovrapposizione tra le cause di decesso dei pazienti Covid-19 e le malattie che sono legate all'esposizione a lungo termine al particolato fine (PM2.5), che influisce negativamente sul sistema respiratorio e cardiovascolare. I risultati di questo studio" - proseguono i ricercatori - "suggeriscono che l'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico aumenta la vulnerabilità al verificarsi degli esiti più gravi di Covid-19 (come il ricovero in terapia intensiva). Anche in Italia l'inquinamento della Valpadana potrebbe essere uno tra i fattori che hanno influito in una maggiore mortalità, sebbene la questione sia ancora dibattuta e controversa. La società italiana di aerosol Ias aveva infatti sostenuto a fine marzo che non vi sono ancora prove certe del legame tra mortalità da Covid-19 e smog.

Resta il fatto che nel frattempo le ricerche proseguono, si aggiornano. Le evidenze ottenute dalla ricerca di Harvard trovano supporto anche in un altro studio sempre effettuato da italiani, specifico per il Nord Italia e dal quale si evidenzierebbe una maggiore letalità da Covid-19 in parte dovuta alla maggiore esposizione prolungata alle polveri sottili, che rendono più vulnerabili le vie respiratorie. Si tratta di una pista che verrà certamente approfondita con ulteriori ricerche, considerando anche che nei prossimi mesi saranno disponibili dati via via più capillari e di qualità elevata.

La correlazione fra inquinamento e letalità del coronavirus, potrebbe essere riscontrata anche in altre zone del mondo, In Italia, la zona della Pianura Piadana è a livelli altissimi di inquinamento, ben più della zona di Wuhan in Cina.


Vedremo se i governi saranno così severi con le polveri sottili e con l’emergenza climatica, così come lo sono stati col virus, vedremo se dal prossimo autunno l’Italia (il paese più motorizzato del mondo) avrà meno auto in circolazione, se ci sarà una veloce conversione al rinnovabile. Vedremo se i governi finalmente tasseranno il kerosene rendendo gli aerei molto più costosi dei treni.

Oppure continueranno “business as usual“, allenteranno i limiti ambientali per dare impulso alla crescita economica (come in USA con TRUMP). Nuovo inquinamento, nuove devastazioni, fino alla prossima catastrofe, virale o climatica.

Un altro effetto controverso è quel che resterà nelle abitudini quotidiane: il rischio è che i cittadini diventino sempre più paranoici, maniaci dell’igiene (già gli italiani erano il popolo europeo che consumava maggiori quantità di disinfettanti), distruggendo ancor più la flora batterica “buona” presente nel nostro corpo, unica alleata contro i virus, e inquinando ancor più le falde acquifere. Sono gli stili di vita sani, un’alimentazione sana, senza eccessiva “paranoia igienica”, a rafforzare il sistema immunitario.

Dovremo imparare ad impostare la nostra vita al motto: “lentius, profundius, suavius” – più lento, più profondo, più dolce -, riscoprire e praticare dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di sfruttamento), abbassare (i tassi di inquinamento, di produzione, di consumo), attenuare (la nostra pressione verso la biosfera, e ogni forma di violenza).”

Solo la via della consapevolezza ci farà rappacificare con un’ecosistema (e un corpo) feriti. E a chi dice “Sei un’ambientalista esagerata, ci vuole una via di mezzo”  rispondo con le parole di Papa Francesco: “Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente, si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore non può considerarsi progresso.”

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